Silvio Franzini

Pittore e musicista

La poetica (intervista)


Intervista a Silvio Franzini – a cura di Saveria Raimondi e Valeria Passaretta

La poetica del pittore

1. Maestro Franzini, come definirebbe il suo stile pittorico?

Per l’artista-pittore, il proprio stile è quasi sempre difficile da definire.
Relativamente ai generi conosciuti, posso parlare di analogie con l’Astrattismo figurale informale o geometrico (con tecniche più o meno tradizionali), oppure anche di “digital painting” (tecnica ottenuta con l’ausilio del computer e di software specifici)… Comunque parlerei più volentieri di ciò che emerge da una ricerca, ormai pluridecennale, che tende a ri-definire (non a ritroso quindi, ma in avanti) il concetto stesso di Astrazione in pittura.

2. Quali sono i suoi “maestri”, ossia gli artisti a cui ha fatto riferimento nella sua formazione di pittore?

Direi che sono e sono stati tanti. Hanno certamente contribuito alla mia formazione di pittore (dapprima “figurativo” e ritrattista) il grande Piero, ovviamente Leonardo, oppure Bosch… Goya… Nel Novecento storico i miei “maestri” sono certamente Kandinsky, Klee (in quanto artista e teorico a tutto tondo), Mondrian, poi Pollock… ma anche Rotko…

3. Il critico Sergio Dalla Val, nell’introduzione ad una sua antologia dedicata alle opere realizzate dal 1990 al 2000, parla di “un uso del colore che più che vedersi si ode”. Quanto è stata ed è importante per la sua esperienza di artista “figurativo” la sua formazione musicale? In quanto pittore e musicista come può spiegarci l’affermazione di Sergio Dalla Val questa sua affermazione?

Credo ci sia stata una particolare attenzione agli aspetti sinestesici della mia ricerca, a quel rapporto forma/colore che allude al mondo dei suoni musicali, nonché alle loro corrispondenze non solo percettive, ma anche sintattiche (in questo senso non parlerei propriamente di ”figurativo”). Certo è stata per me molto importante l’esperienza e la conoscenza musicale a riguardo. Fin da bambino mi sentivo proteso verso le “colorazioni” del suono e le “sonorità” del colore… ai disegni melodici dei vari timbri sonori ecc. Tuttora sono attratto (seppur in modo più razionale) dalle analogie e dalle differenze che intercorrono tra questi due mondi che forse davvero si appartengono. Non a caso è nata su mia proposta una nuova materia presso il Conservatorio di Piacenza chiamata appunto “Interdisciplinarietà delle arti: musica / arti visive”, anche questi interessi, credo, spiegano l’attenzione del critico…

4. Crede anche lei a quello che ha affermato John Cage, cioè che la musica non significa nulla, ossia non possiede alcun simbolismo o linguaggio univoco?

Direi di si, specialmente sulla questione del linguaggio univoco. Stravinsky in un certo qual modo disse che la musica in definitiva spiega solo se stessa… Sono comunque convinto che l’idea di oggetto musicale o artistico possa assumere anche “valore simbolico” in quanto prodotto di un’attività di scelta e di osservazione, collegato dunque a quell’attribuzione di senso che si costituisce, anche in modo irrazionale, nel nostro universo percettivo (componenti che credo abbiano un riflesso psicologico anche dal sociale).

5. Se per lei l’affermazione di Cage ha un fondamento, qual è lo scopo e la funzione della musica fusa insieme alla pittura nelle sue ricerche e nelle performance?

Se con quel che dice Cage si pretendesse di avere un fondamento dimostrabile, per la mia esperienza, potrei affermare che esiste anche un certo scarto, un certo grado di indeterminazione a riguardo (per fortuna nell’Arte non ha alcun senso voler dimostrare). Nelle mie ricerche parlo spesso solo di mezzi (non di scopi), non di funzioni per le arti, ma di “ingredienti necessitanti”, di correlazioni di significazione ecc. Anche per ciò che riguarda la performance, non credo propriamente in una fusione delle arti, ma se mai in una sorta di inter-indipendenza tra le diverse semìe artistiche.

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